Vieni a cena con me: Armin Meiwes

Vieni a cena con me: Armin Meiwes

“Talvolta si vorrebbe essere cannibali,
non tanto per il piacere di divorare il tale o il talaltro,
quanto per quello di vomitarlo.”
(Emile Michel Cioran)

«(…) Gretel tirò fuori tutto un vetro rotondo e Hänsel staccò un enorme pezzo di focaccia dal tetto. Ma d’un tratto la porta della casa si aprì e una vecchia decrepita venne fuori piano piano. Hänsel e Gretel si spaventarono tanto che lasciarono cadere quello che avevano in mano. Ma la vecchia scosse il capo e disse: “Ah, cari bambini, come siete giunti fin qui? Venite dentro con me, siete i benvenuti.” Prese entrambi per mano e li condusse nella sua casetta. Fu loro servita una buona cena, latte e frittelle, mele e noci; poi furono preparati due bei lettini bianchi, e Hänsel e Gretel si coricarono e pensavano di essere in Paradiso. Ma la vecchia era una strega cattiva che attendeva con impazienza l’arrivo dei bambini e, per attirarli, aveva costruito la casetta di pane. Quando un bambino cadeva nelle sue mani, lo uccideva, lo cucinava e lo mangiava; e per lei quello era un giorno di festa. Era proprio felice che Hänsel e Gretel fossero capitati lì. Di buon mattino, prima che i bambini fossero svegli, ella si alzò, andò ai loro lettini, e quando li vide riposare così dolcemente, si rallegrò e mormorò fra sì: “Saranno un buon bocconcino per me!” Poi afferrò Hänsel e lo rinchiuse in una stia. Quando questi si svegliò, si trovò circondato da una grata, come un pollo da ingrassare, e poteva fare solo pochi passi. Poi la vecchia svegliò Gretel con uno scossone e le gridò: “Alzati, poltrona, prendi dell’acqua e vai in cucina a preparare qualcosa di buono; tuo fratello è là nella stia e voglio ingrassarlo per poi mangiarmelo; tu devi dargli da mangiare.” Gretel si spaventò e pianse, ma dovette fare quello che voleva la strega.»
(Hänsel e Gretel – Jacob Ludwig Grimm, Wilhelm Karl Grimm)

Diversi sono i modi per cucinare un essere umano, ci sono tante ricette per le nostre carni quante sono quelle per preparare il maiale. Gli esseri umani si possono bollire, arrostire, in fricassea. Taluni – attenti alla linea – preferiscono il vapore. L’uomo, insomma, si apparecchia come il maiale, anche perché entrambi vantano carni bianche, grasse e frutto di una dieta onnivora con un gusto, a quanto pare, molto simile. Anche se non esiste un libro di ricette consacrato alla cucina antropofaga, si può notare come, storicamente, la fantasia nel campo si sia sbizzarrita. Ad esempio, alcune tradizioni hanno celebrato l’abitudine di inserire delle carote o salsicce negli orifizi dei pasti umani, un po’ come si fa con l’arrosto farcito. La preparazione dei nostri simili quali macellazione, cottura e condimento sono una parte essenziale del rito; nulla deve essere lasciato al caso, ogni fibra va onorata con dovizia di attenzioni. Non si può improvvisare, sarebbe una frustrazione immane quella dell’ingordo che mordesse direttamente le natiche della vittima appena assassinata: strappare della carne viva con la semplice forza dei propri denti non è di certo facile, in quanto la mascella umana non è fatta per dilaniare la carne cruda. Ricette piuttosto classiche ed altre innovative seguono l’eredità culturale di ogni paese: umano al ragù in Africa centrale, alla brace nel Pacifico del Sud e al girarrosto in Malesia. Se i francesi fossero antropofagi, ci sarebbero elevate possibilità di degustare una tenerissima vicina di casa alla bourguignonne. Il cannibalismo è una pratica quasi abbandonata e, per questo, ogni storia che ci faccia arrivare brandelli di tale retaggio crea scalpore ed orrore. Storie raccapriccianti, come quella di quella di Armin Meiwes, che il 10 marzo del 2001 uccise e mangiò pian piano un esperto di computer, conosciuto su internet, nella sua casa a Rotenburg. Una storia strana, con una vittima (proprio da non crederci) felice e consapevole di ciò che l’attendeva, che aveva dato il suo consenso a diventare un pasto prelibato. Il tutto documentato in maniera dettagliata da un video, realizzato dallo stesso cannibale, della durata di quattro ore. Ma andiamo con ordine. Nel 2000 Meiwes pubblicò un annuncio su internet con questa richiesta: “cercasi giovane uomo ben educato dai 18 ai 30 anni da macellare”. Diverse le risposte, una delle quali da parte di un uomo di nome Borg Jose. Il piatto sembrava essere bello che servito, ma all’ultimo istante, mentre era disteso sul tavolo per prepararsi ad essere pasteggiato, Jose si lamentò di sentirsi male e chiese di essere rilasciato, fatto che obbligò Meiwes a continuare la ricerca (e rimandare il pasto). L’ultimo a rispondere al messaggio Internet di Meiwes fu Bernd-Jürgen Brandes, ingegnere bisessuale di 43 anni, che scrisse a Meiwes il 14 febbraio 2001 dicendo che avrebbe accettato ben volentieri di essere mangiato. I due si scambiarono varie e-mail a sfondo sessuale, discutendo del modo migliore in cui Bernd doveva essere mangiato e di come usare i resti del suo corpo a banchetto avvenuto. Brandes suggerì addirittura che il suo teschio potesse essere usato come comodo e capiente posacenere.

Il 9 marzo 2001, Brandes si recò a casa di Meiwes ad Amstetten e, dopo aver fatto sesso, ingerì numerosi sonniferi, una bottiglia di medicina per la tosse di marca Vicks e numerose grappe; a quel punto, il pasto ebbe inizio: Meiwes gli amputò il pene, affinché potesserogustarlo insieme. Brandes provò a mangiare un pezzetto di pene crudo, ma la carne si rivelò troppo gommosa. Meiwes pensò allora di friggerlo con aglio tritato e pepe, ma finì per bruciarlo enessuno dei due riuscì a consumare quel bocconcino delizioso. Brandes giacque per le tre ore successive nella vasca da bagno, dissanguandosi lentamente, mentre Meiwes leggeva un volumetto di Star Trek in attesa che il fatto si compisse. Dieci ore dopo, Brandes era ancora vivo, quindi Meiwes lo pugnalò più e più volte al collo per porre fine al suo dolore e alla sua vita. Meiwes spiegherà in seguito: “al mio amico è piaciuto morire, ho aspettato la fine con pazienza ma ci è voluto così tanto tempo”.
Una strada senza più ritorno è così tracciata nelle foresta oscura di un animo umano, una strada fatta di freezer a pozzetto, sacchetti per i surgelati, laccetti, maniacale precisione nella pezzatura, pennarelli scuri e archiviazione delle carni.

Meiwes appese il corpo senza vita di Brandes su un uncino da carne e ne tagliò la carne in grossi pezzi, macinando le ossa in farina. Smembrò e macellò l’intero corpo in modo da poter conservare le parti nel suo congelatore, porzioni che continuò a mangiare nei successivi dieci mesi (1). L’intero processo di amputazione del pene di Brandes e la successiva morte furono registrati su videocassetta; il video venne in seguito usato come prova contro Meiwes.

Nel novembre 2002 Meiwes aveva quasi finito la sua fornitura di carne congelata di Brandes e così postò un altro messaggio, in cerca di una nuova vittima su Internet. Sfortunatamente per lui, uno studente intercettò un messaggio particolarmente inquietante ed esplicito, si insospettì e lo segnalò alle autorità. L’11 dicembre 2002 la polizia irruppe nella casa di Meiwes e trovò 15 libbre di carne di Brandes in delle confezioni di pizza nel congelatore,oltre al video dell’omicidio. Secondo quanto riferito, Meiwes ammise ciò che aveva fatto quasi subito dopo il suo arresto. La polizia impiegò sette mesi per mettere insieme il caso, dopo aver esaminato il computer di Meiwes per rintracciare le prove della sua corrispondenza negli ultimi anni. Ritrovarono inoltre migliaia di immagini di torture e pornografia, così, il 17 luglio 2003, Armin Meiwes venne accusato di omicidio.

Il 30 gennaio 2004, Meiwes venne riconosciuto colpevole di omicidio colposo e condannato a otto anni e mezzo di prigione. Il caso attirò una notevole attenzione da parte dei media e ha avviato un dibattito sul fatto che Meiwes potesse essere condannato, a causa del fatto che Brandes aveva preso volontariamente parte al cannibalismo ed era entrato nella casa di Meiwes pienamente consapevole delle sue intenzioni. Un ulteriore problema, che gli avvocati scoprirono presto, stava nel fatto che il cannibalismo è di fatto legale in Germania, tanto che dovettero accusare Meiwes di omicidio a scopo di piacere sessuale e di “disturbo della pace dei morti”. Meiwes venne condannato a otto anni e mezzo di reclusione. Solo un anno dopo, nell’aprile 2005, un tribunale tedesco ordinò un nuovo processo, dopo che i pubblici ministeri avevano presentato ricorso verso la sentenza di primo grado, ritenuta troppo indulgente. La loro tesi era che Meiwes avrebbe dovuto essere processato per omicidio volontario, non omicidio colposo, e condannato all’ergastolo. Il nuovo processo iniziò il 12 gennaio 2006 e vide l’accusa sottolineare come Brandes, la vittima/pasto, non fosse in grado di prendere alcuna decisione la sera del 9 marzo, poiché aveva consumato quantità significative di alcol e droghe per affrontate il dolore dovuto all’amputazione del pene. Il 10 maggio 2006, un Tribunale di Francoforte cambiò la pena iniziale di otto anni e mezzo condannando Meiwes all’ergastolo per omicidio volontario.

Secondo un rapporto dell’ottobre 2007 del quotidiano tedesco Bild-Zeitung, Meiwes, mentre stava scontando la pena, divenne consulente degli investigatori nell’analisi di due sospetti omicidi a sfondo cannibalistico del 1998 e del 2000, in cui due giovani ragazzi furono trovati orribilmente mutilati. In prigione Meiwes diventa vegetariano, lavora nella biblioteca del carcere e si unisce a un gruppo di prigionieri che rappresenta la politica del Partito Verde. Meiwes ha rifiutato sostanziali offerte da case editrici e cinematografiche per portare la sua storia sul grande schermo e ha invece assegnato i diritti globali alla sua storia alla società Stampfwerk, a titolo gratuito, a condizione che fornisca un resoconto accurato del suo caso. Il cannibale ricorda di aver amato molto da bambino la favola di “Hansel e Gretel”, che gli leggeva la madre, trovando particolarmente interessante il momento in cui Hansel stava per essere mangiato: “Voi non immaginate nemmeno quanti Hansel si aggirano su internet”. A suo dire, in Germania ci sarebbero oltre diecimila tra cannibali e potenziali vittime che cercano di mettersi in contatto tra di loro via internet. La conoscenza della sua vittima Meiwes l’aveva fatta proprio in rete, dove gli aveva proposto di farsi uccidere e mangiare. Dal suo punto di vista, il cannibale di Rotenburg si definisce “una persona servizievole, sempre disposto ad aiutare chiunque”, ma ammette, tuttavia, che gli altri lo possano vedere come “qualcosa di mostruoso”, poiché “solo in linea di principio sono una persona normale”.

Ma chi era esattamente Armin Meiwes? Nato nella città tedesca di Kassel, il tecnico informatico Meiwes visse un’infanzia molto solitaria. Suo padre era un uomo severo e poco interessato alla compagnia del figlio. Quando il matrimonio si sciolse Meiwes aveva solo otto anni; suo padre abbandonò la famiglia, per non contattarli mai più. Armin rimase da solo con la madre, che spesso lo ammoniva in pubblico e insisteva per accompagnarlo ovunque. Meiwes, privo di una figura paterna, creò un fratello immaginario chiamato Franky, attraverso il quale sfogò i suoi primi pensieri cannibali, poiché Franky lo avrebbe ascoltato, accolto e amato, cosa che sua madre non aveva mai fatto. All’età di 12 anni Meiwes iniziò a fantasticare di mangiare i suoi amici in modo che potessero diventare la sua stessa carne, stando con lui per sempre: una soluzione disperata per un figlio solo molto solo e incompreso. Nel 1999 la madre di Meiwes morì e gli lasciò in eredità la grande casa padronale della famiglia, ad Amstetten. Totalmente solo per la prima volta nella sua vita, senza le esigenze di una madre controllante, Meiwes costruì un santuario per lei in casa, completo di un manichino di plastica che avrebbe adagiato su un cuscino ogni notte. In quel periodo sviluppò un interesse per la pornografia estrema su Internet, in particolare quella con tortura e dolore. Attraverso questi siti Meiwes entrò in contatto con le prime chat room sul cannibalismo.

Secondo un approccio di stampo sociologico alimentare, la sociologia dei costumi, l’etno-antropologia e la criminologia clinica, è stato possibile dare una definizione specifica e puntuale alle varie declinazioni di cannibalismo reale. In base allo stato della vittima, si distingue il cannibalismo su carne umana di morti (necrofagia) dal cannibalismo su esseri umani ancora in vita (antropofagia propriamente detta). Si parla, sociologicamente intendendo, di endocannibalismo quando la vittima fa parte del medesimo gruppo sociale; se invece la stessa è fuori dal gruppo dei pari si avrà a che fare con l’esocannibalismo. Infine, la distinzione (forse) più interessante, è quella basata sulle motivazioni alla base dell’atto antropofago (Mattia Scarponi, 2017). Ma procediamo con ordine.

  • Cannibalismo religioso, certamente caratteristico delle popolazioni primitive (citate in precedenza) ma comune anche in alcune sette sataniche e accrocchi religiosi. Tali culti rientrano nell’insieme di religioni particolarmente devote ai defunti e agli antenati e rappresenterebbero un esempio di sacrificio religioso. Anche in questo caso vengono apprezzate molto le interiora (specie cuore e cervella), ovviamente cotte, in quanto speso i malcapitati sono malati.
  • Cannibalismo per sopravvivenza, ovvero quando l’istinto di conservazione del singolo prende il sopravvento sulla preservazione di tutta la specie. Si riscontra ovviamente in situazioni estreme (disastri aerei, naufragi, lunghi periodi di guerra…) in cui le risorse sono limitatissime o comunque impossibili da reperire in breve tempo. Un esempio conosciuto è quello che è passato alla storia come la tragedia delle Ande (2).
  • Cannibalismo di Marte, tipico delle tribù allo stato primitivo (in Africa Centrale, Oceania, Brasile Equatoriale) ma in alcuni casi riscontrato anche in zone geografiche dove gruppi militari e paramilitari si trovano fuori dal controllo delle istituzioni statali ed internazionali (in particolare in zone di guerre civili con utilizzo di mercenari). È il cannibalismo che affiora come ultimo atto di prevaricazione e sfregio, è il divorare il nemico sconfitto (dopo averlo spesso torturato)/disonorarne la memoria/impossessarsi della sua forza/suggerne l’intelligenza. Si sgranocchiano soprattutto arti e parti interne (dopo averle opportunamente arrostite), mentre le teste e le mani generalmente sono tagliate per essere mostrate, innalzate come coppe, collezionate come trofeo.
  • Cannibalismo del condannato, ormai presente solo in poche popolazioni tribali. In questo caso ad essere divorate (dopo una leggera cottura al sangue) sono persone che sono state accusate di pene gravissime (soprattutto magia nera). A tale categoria di condannati viene riservata un’uccisione terribile, che spesso avviene in pubblico, con conseguente cottura e banchetto delle carni, destinate a coloro che hanno subito il torto.
  • Cannibalismo cuciniero, basato sul mercato della carne umana. Questa pratica, tanto insolita quanto ripugnante, è in realtà piuttosto diffusa nelle regioni in perenne condizione di profonda indigenza. In questi casi, però, ad essere divorati non sono criminali o nemici di una popolazione, bensì normali persone defunte, le cui membra vengono lavorate ed inscatolate come insaccati (spesso con spezie, sale e pepe per allungarne la durata).
  • Cannibalismo per faida, tipico di soggetti con alto tasso di aggressività, in cui comunque la vendetta risulti presente nel bagaglio culturale (formula delle vendetta: odio x pressione). L’uccisione può avvenire in vario modo e le parti più spesso cucinate e poi consumate sono cuore e cervello (Mattia Scarponi, 2017). Tali pietanze vengono poi mangiate dal carnefice o servite a parenti della vittima stessa a loro insaputa, leggasi il mito di Tieste e Atreo.
  • Cannibalismo per psicopatologia, è la forma di antropofagia più strana e al tempo stesso seducente e dirompente, alla base della creazione di numerosi personaggi di film e libri come Hannibal Lecter. Spesso in questo caso alla base dell’atto c’è un problema di natura psicologica o psicoaffettiva, molte volte frutto una storia di abusi, di famiglie con realtà problematiche che incidono sullo sviluppo psichico della prole.

Il cannibalismo è presente in maniera “occulta” nel nostro quotidiano: si pensi ad espressioni come “ti mangerei” o ai morsi affettuosi e/o appassionati che si danno le coppie. Questi stimoli sottili, nei soggetti psicolabili definiti sopra, possono trasformarsi in un vero e proprio bisogno carnale e prepotente che non si limita a una simulazione, bensì giunge alla realizzazione dell’atto. Il cannibalismo dell’omicida seriale è un possedere letteralmente la persona, accompagnato spesso da una vera e propria eccitazione sessuale; peraltro, generalmente sono le donne ad essere squartate, come se il loro assassino, abbandonandosi all’antropofagia, volesse rintanarsi nuovamente nel grembo materno. Tutto questo perché effettivamente il cannibalismo riattiva la sensazione infantile del rapporto tra cibo e affetto, proprio come un neonato che ancora non distingue correttamente emozioni e fisicità ma percepisce un tutt’uno confuso.
Di fronte ad un atto così efferato come quello di squartare un essere umano e mangiarlo come fosse una vivanda qualunque, rimanere sconvolti è la minima e sindacale reazione. Ma se per un attimo si rimane lucidi e si va oltre l’istintiva paura, si realizza che ci sono degli interrogativi che necessitano di una risposta. Cosa accade al cannibale dopo il suo pasto? Diventa davvero più forte e robusto? Ci sono dei rischi per la sua salute (escludendo ovviamente la salute mentale degli psicopatici, per i quali è necessario un immediato ricovero in psichiatria)? Al di là di quanto riportano gli antichi miti e le antiche testimonianze e, nonostante l’organismo umano sia effettivamente ricchissimo di nutrienti, ad ogni pasto antropofago il cannibale mette fortemente a rischio la sua incolumità, nel breve come nel lungo termine. Innanzitutto, molto dipende dalla qualità e dalla cottura della carne ingerita: di certo mangiare carne cruda non è la cosa migliore da fare, poiché la dentatura umana non è molto adatta per grosse lacerazioni su tessuti così elastici e resistenti. Si rischiano dunque danni ai denti e lesioni alla muscolatura della mandibola e all’articolazione temporo-mandibolare, ma non solo. Difatti il rischio di contrarre infezioni di varia natura è davvero altissimo, soprattutto se i cadaveri non vengono conservati. Alcuni cannibali, poi, hanno l’abitudine di bere i liquidi e le secrezioni della vittima: in particolare l’ingestione di sangue, oltre ad amplificare ulteriormente il rischio di infezioni, crea notevoli danni all’apparato gastroenterico (è decisamente poco digeribile) e soprattutto al fegato (che ne risulterà particolarmente affaticato sino a rischiare l’insufficienza d’organo). Il pericolo maggiore viene tuttavia dalla parte più pregiata dell’uomo: il cervello. Ma di questo, forse, parleremo in un prossimo libro.
Curiosità
Tra le leggende dei Nativi Americani Algonchini, stanziati lungo la costa orientale e la regione dei Grandi Laghi tra gli attuali Stati Uniti d’America e il Canada, spicca quella del Windigo ( o Wendigo): si tratta di una creatura caratterizzata da una forza immensa e da una fame insaziabile. Questo essere è dotato di lunghi artigli, ha un fisico emaciato e non è mai sazio. Secondo la tradizione, il Windigo un tempo era un essere umano che, durante un inverno rigido, era rimasto senza cibo e approvvigionamenti e, per sopravvivere, dovette ricorrere al cannibalismo. Secondo queste credenze, mangiare carne umana conferisce qualità come velocità e forza sovrumane e l’immortalità; con il tempo, la creatura diventa un cacciatore intelligentissimo e imbattibile ma, soprattutto, perennemente affamato. Il Windigo presta il suo nome anche ad un controverso disturbo psicopatologico, definito appunto “Psicosi Windigo”, descritto dagli etnopsichiatri come una sindrome culturale con sintomi quali intenso desiderio di carne umana e paura di diventare cannibale.

  1. La macellazione è il processo di uccisione di un animale mediante dissanguamento e di prima lavorazione della carcassa finalizzato a destinare le carni al consumo umano: un’arte sopraffina che si perde nella notte dei tempi.
  2. Il 13 ottobre 1972 il volo charter 571 della Fuerza Aerea Uruguaya, decollato da Montevideo e diretto a Santiago del Cile, per un errore di rotta si schiantò contro le Ande a circa 4.200 metri di altitudine. A bordo c’erano 45 persone, fra cui un’intera squadra di rugby, gli Old Christians Club. Nella squadra giocava Roberto Canessa. Aveva 19 anni e studiava medicina. Roberto fu tra i 16 sopravvissuti: riuscì a resistere al freddo, alle valanghe e alla fame, cibandosi della carne dei compagni morti. Fu la violazione di un tabù che gli salvò la vita. Oggi Roberto Canessa è cardiologo pediatrico, capo dei reparti di Ecocardiograia e Cardiologia presso l’Ospedale italiano in Uruguay.

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