
L’omicidio del piccolo Grégory Villemin
di Elisa Tricarico
È il 1984 quando nel fiume Vologne, che attraversa un piccolo paesino sperduto tra i Vosgi, viene ritrovato il corpo di Grégory Villemin, di appena quattro anni. L’omicidio, però, non è altro che il culmine di due anni di lettere e telefonate minatorie alla famiglia Villemin da parte di un anonimo che si fa chiamare “il corvo” e che oggi, dopo quasi quarant’anni, non è ancora stato possibile identificare con certezza. A rendere praticamente impossibili le indagini, oltre a tutta una serie di errori della polizia e della gendarmeria, l’omertà dell’intero paesino e la protezione che i membri della famiglia si sono assicurati l’un l’altro.

In Francia è tra i cold case più famosi da quasi 40 anni.
La famiglia Villemin è una famiglia francese normale e modesta che vive nel nord-est della Francia. E’ una famiglia molto numerosa, una parte della famiglia Villemin vive a Lépanges-sur-Vologne, questo piccolo lembo di terra, anonimo e isolato, si trova in mezzo ad un insieme di piccoli villaggi circostanti.
I capo famiglia sono Albert e Monique, nonni di Grégory. Hanno avuto molti figli, tra cui Jean-Marie, padre di Grégory, sicuramente il più “sveglio” della famiglia, colui che, a soli 26 anni è già capo squadra nella fabbrica del tessile dove lavora. Ha una vita agiata per quel contesto molto umile e rurale. E’ sposato con Christine, operaia nel tessile. Sono una coppia molto unita, hanno costruita un bel chalet un po’ al di fuori del paese, si possono permettere una vacanza, di avere due auto, di comprare un divano in pelle. Sicuramente dei lussi per quegli anni e per quel contesto. Per questi motivi, attraggono le invidie di molti, soprattutto della famiglia Villemin, fratelli, zii, e cugini.
L’omicidio del piccolo Grégory non è un frutto di un raptus ma piuttosto frutto di anni di odio, di un corvo che ossessionava la famiglia di telefonate e lettere anonime di minaccia. L’odio verso chi ha una vita più “luminosa”.

Il corvo infatti tempestava di telefonate la famiglia, telefonate anonime, a volte mute, a volte con voce camuffate, a volte con una musica di sottofondo. Senza contare le lettere anonime, a volte scritte con uno stampatello squadrato, a volte con un corsivo stentato, forse usando la mano non avvezza a scrivere.
Tutte queste lettere avevano uno sfondo di rabbia, cariche di odio, ma anche di minaccia. Addirittura, abbiamo una lettera di rivendicazione del crimine, cioè dell’omicidio del piccolo Grégory, subito dopo averlo sequestrato da casa sua, poi ucciso. Un piano ben studiato, presumibilmente frutto della collaborazione tra più persone.
Le indagini si possono dividere in due fasi principali. La prima è quella che vede coinvolto Bernard Laroche, il cugino di Jean-Marie. Bernard Laroche ha una vita molto più umile rispetto a quello del cugino. Una vita più triste, se così possiamo definirla. È un uomo silenzioso, operaio e sindacalista, con una corporatura massiccia, i baffoni e le basette, che tutti chiamano “popof”, un nomignolo derivante dalla sua appartenenza attiva al sindacato della fabbrica in cui lavora.
Marie-Ange Laroche, la moglie “che porta i pantaloni”, è una donna severa e dall’aspetto un po’ trascurato. I due coniugi non vivono un matrimonio particolarmente felice, a causa dei turni in fabbrica sfasati tra i due. Marie-Ange di giorno, Bernard, la notte.
La coppia ha un figlio, Sébastien, nato qualche mese dopo Grégory. A differenza del cuginetto, Sébastien è un bambino fragile, con un lieve handicap.
Si arriva a sospettare di Bernard tramite le prime perizie grafologiche che lo designano come autore della lettera di rivendicazione del crimine, di cui, però, a causa di un vizio di forma da parte del giudice Lambert, non compariranno mai nel fascicolo processuale.
Ma si arriva a lui tramite soprattutto la testimonianza della cognata, Muriel, che lo incastra. Infatti Muriel dice di essere stata presente nell’auto di Bernard, assieme a Sébastien, quando ha prelevato un bambino e, una volta arrivati a valle, il cognato è sceso dall’auto con il bimbo per poi ritornare da solo.
Purtroppo, però, Muriel, a seguito di varie pressioni da parte della famiglia, ritratta tutto e nel corso di oltre 30 anni non dirà più nulla. Come se fosse entrare in un mutismo totale.
Vittima di un odio cieco, Jean-Marie, il padre di Grégory, uccide con un colpo di pistola il cugino sospettato.
Le indagini si dirigono allora sulla madre di Grégory, Christine, perché si doveva per forza trovare subito un altro colpevole. Le assurdità attorno a queste accuse porteranno poi alla discesa del giudice Lambert, a rincominciare daccapo le indagini, grazie alla devozione e alla serietà di un altro giudice, il giudice Simon, che morirà però prematuramente di infarto. Christine verrà completamente assolta perché il fatto non sussiste. Ma il peso di anni di accuse è un segno che rimarrà indelebile, così come l’accanimento mediatico, tanto da avere i contorni di una soap opera e a dimenticarsi presto che è stato ucciso un bambino.
Ancora oggi, sono molte le indagini, in cui si spera che i passi avanti fatti nella scienze e nelle investigazioni, possano portare alla luce nuovi elementi e trovare, finalmente, la verità.
