
IL NON DETTO DELLO SCRITTO. LEONARDA CIANCIULLI: DA FIGLIA RIFIUTATA A MADRE SPIETATA
di Alessandra Abatelillo.
“La mamma mi odiava perché non aveva desiderato la mia nascita. Ero una bambina infelice e desideravo morire. Cercai due volte di impiccarmi, una volta arrivarono in tempo a salvarmi, l’altra si spezzò la fune. La mamma mi fece capire che le dispiaceva rivedermi viva”.
Parole di profonda sofferenza quelle tratte dal memoriale di Leonarda Cianciulli, la serial killer femminile autrice di efferati crimini. Partendo dal contesto in cui ha vissuto e attraverso l’analisi della grafia, si delinea un profilo di personalità che porta alla luce anche gli aspetti più nascosti.
Nata a Montella nel 1983 in seguito a una violenza sessuale subìta dalla madre Emilia di Nolfi, costretta a sposare il suo carnefice, Leonarda si vide inconsapevolmente riversata d’odio e manifestò fin da ragazza la sua indole ribelle. Nel 1914 sposò Raffaele Pansardi, un impiegato dell’ufficio del registro e con lui si trasferì a Lariano, nell’Alta Irpinia. Sposandolo si era opposta alla volontà della madre che l’aveva promessa in sposa a un cugino, e tale atto le costò una maledizione da parte della genitrice: i suoi figli sarebbero deceduti prima di lei.
Delle numerose gravidanze avute, solo quattro figli (tre maschi e una femmina) erano sopravvissuti alla maledizione della madre, ed erano per lei un bene da proteggere a qualsiasi costo.
Incombendo la seconda guerra mondiale sull’Europa, la donna temeva che i suoi amati figli fossero richiamati sotto le armi. Ed è da una lettera inviata dal figlio Bernardo che “fra non molto sarebbe partito per il fronte” che la tragedia ebbe il suo inizio. “Decisi di agire per la sua salvezza”, si legge.
Vittima della superstizione e spinta da un aberrante amore materno, per placare gli spiriti maligni che si sarebbero accaniti sui suoi figli (secondo quanto le fu predetto da una fattucchiera), in lei cominciarono a farsi strada pensieri tormentati, così intensi da decidere di sacrificare anime innocenti in cambio della vita dei propri figli. Pensò così a tre amiche, sole e non più giovani, che nel suo immaginario avrebbero cambiato l’esistenza pur di sfuggire alla noia e alla solitudine.
Uccidere tre donne non le era apparso così diabolico se in gioco c’era la vita del sangue del suo sangue.
La prima vittima caduta nella trappola fu l’amica più anziana Faustina Setti detta “Rabitti”, “una vecchia che si dava arie da ragazzina” attirata con la promessa di averle trovato un marito residente a Pola. Dovendosi trasferire lì, Leonarda fece scrivere all’amica numerose lettere e cartoline indirizzate a familiari e amici da spedire una volta arrivata lì, annunciando che tutto procedeva a gonfie vele. Ma lì la Setti non giunse mai: la mattina della partenza andò a salutare Leonarda, nella casa di quest’ultima fu uccisa a colpi di scure e trascinata in uno stanzino. La ferocia continuò a manifestarsi con un rituale: il corpo fu sezionato in nove parti, e il sangue raccolto in un catino. “Gettai i pezzi nella pentola, aggiunsi sette chilogrammi di soda caustica che avevo comprato per fare il sapone, e rimescolai tutto finchè il corpo sezionato si sciolse in una poltiglia scura e vischiosa. Quanto al sangue del catino, aspettai che si coagulasse, lo feci seccare al forno, lo macinai e lo mescolai con farina, zucchero e cioccolato, latte e uova, oltre a margarina, impastando il tutto. Feci una grande quantità di pasticcini croccanti da offrire a chi veniva in visita. Avevo commesso questo delitto per mio figlio Bernardo che doveva partire, perciò anche a lui li feci mangiare”.
Alla seconda vittima, Francesca Soavi, Leonarda aveva promesso un lavoro nel collegio femminile di Piacenza. Ugualmente, prima della partenza, la donna ripeté lo scempio.
La terza e ultima vittima si chiamava Virginia Cacioppo, un’ex cantante lirica costretta a vivere in miseria e prigioniera della nostalgia per il suo trascorso da artista. La Cianciulli le propose di lavorare come segretaria di un misterioso impresario teatrale, ma “finì nel pentolone come le altre due. La sua carne era grassa e bianca, ne vennero fuori delle saponette cremose. Anche i pasticcini furono migliori del solito: quella donna era veramente dolce”.
Tre donne NON madri, colpevoli di desiderare qualcosa che non aveva nulla a che fare con tale ruolo, per questo meritevoli di punizione secondo il suo codice personale.
A seguito di processo, nel 1946 ella venne condannata a 30 anni di reclusione dalla Corte di Assise di Reggio Emilia, disponendo prima dell’esecuzione della pena detentiva il ricovero in una casa di cura per un periodo non inferiore a tre anni. Leonarda però non entrò mai in carcere: morì il 15 ottobre 1970 nel manicomio femminile giudiziario di Aversa per apoplessia cerebrale. “Dicono che sono incapace di intendere e volere. Ma io so benissimo quello che voglio, la salvezza dei miei ragazzi”.
Nella formazione dei suoi tratti di personalità, il rapporto madre-figlia rimane centrale, condizionando ogni rapporto che Leonarda ha successivamente instaurato da adulta.
Avendo sperimentato carenze affettive fin dall’infanzia derivate dalla negazione della madre, quella madre che la perseguitava e la bloccava, Leonarda aveva difficoltà nella gestione delle proprie emozioni e dei propri impulsi, il che la rendeva fragile e particolarmente vulnerabile.
Incapace di affrontare eventi per lei dolorosi o potenzialmente traumatici per mancanza di resilienza e desiderosa dell’attenzione altrui per sfuggire a vissuti di instabilità e incertezze, la Cianciulli proiettava sul mondo esterno un vissuto interno animato da forze che temeva di non poter controllare e contenere: sempre alla ricerca spasmodica di una forma di equilibrio tra il perseguimento mai raggiunto di quiete e armonia e il persistere di un senso di inferiorità che traspariva nella continua esigenza di soddisfare l’immagine grandiosa ed esibizionistica di sé. Il suo costante desiderio di sentirsi superiore agli altri le permettevano di presentarsi in pubblico in maniera impeccabile, non lasciando mai nulla al caso dall’abbigliamento al modo di porsi in pubblico. Una donna apparentemente a modo, con un carattere da leader e un fascino in grado di assoggettare chiunque la circondasse, ridotto a mero oggetto da sfruttare. Estremamente attenta alle presentazione che faceva di se stessa, ella poneva l’accento sulle doti di altruismo e generosità.
Un altro passo tratto dal memoriale scritto dalla donna durante il periodo di internamento delinea la sua percezione di esistenze simultanee: “Mia madre mi chiamava Norina diminutivo di Eleonora, il mio caro defunto padre mi chiamava Nardina, da Leonarda. Perciò potevo benissimo avere due personalità… la Norina era quella che doveva agire. La Nardina era la madre che tanto doveva soffrire e non potendo nulla fare, si affidava a Norina perché questa agisse”. Questo poteva aiutarla, rendendo maggiormente sopportabile il peso della realtà.

Osservando gli scritti di Leonarda Cianciulli emerge una personalità non equilibrata e insofferente. La grafia non è gradevole all’occhio, presentandosi non omogenea, aspetto questo che rivela un Io frammentato che si è sviluppato a seguito di esperienze traumatiche vissute durante l’infanzia, caratterizzata da riferimenti affettivi vacanti.
Nonostante la forma calligrafica vicina al modello scolastico appreso, si notano cenni di accuratezza (es. la d lirica, vedi cerchio rosso) che indicano una preoccupazione della donna per l’apparire; è utile soffermarsi sui numerosi lacci, da ricondurre al manierismo di chi ricorre a modi leziosi e artificiosi per attrarre e ingannare il prossimo. L’alternanza curva-angolo rivela da una parte il bisogno di contatto e di apprezzamento affettivo, dall’altra un atteggiamento introverso e intransigente, per lo più autocentrato per bisogno di difesa e di affermazione.
La dimensione medio grande, come il suo ego, presenta però delle irregolarità che rivelano la natura conflittuale, in disaccordo con se stessa prima che con gli altri.
Le lettere sono inclinate verso destra, espressione di un forte bisogno della Cianciulli di “buttarsi avanti”, sia negli affetti che nell’azione; nella sua dipendenza emotivo-affettiva essa ricerca la compiacenza degli altri, poiché in loro assenza si sentirebbe una nullità, quello che sua madre le aveva fatto provare quando era bambina. I momenti di socialità tuttavia indicano piuttosto la necessità di “carezze” piuttosto che reale apertura all’altro. Nella spinta verso il raggiungimento dello scopo che si prefigge, ella ricorre anche ad approcci come la manipolazione e le coercizioni.
Nell’impostazione spaziale, si nota l’occupazione di tutto il campo grafico, simbolo di una personalità che non conosce mezze misure e che dipende dai contatti e dalle realizzazioni, per placare la paura di smarrirsi e il timore di restare da sola. Le parole sono strette tra loro, componente di un soggetto che ha scarsa capacità di riflessione, abbandonandosi al contrario all’impulso e all’intuizione del momento. Prevale infatti il pensiero magico su quello logico e ciò emerge dagli occhielli rigonfi nella zona superiore: estremamente suggestionabile, si circondava di chiromanti che le avevano predetto inenarrabili sciagure, motivo che la spinse a compiere sacrifici umani per salvare i suoi figli. La superstizione e l’immaginazione che deborda in fantasia, di cui era intrisa la sua mentalità, avevano deformato la sua visione della realtà, tanto da renderla una donna incapace di distinguere il bene dal male.
L’energia pressoria varia spesso di intensità, indice di stati d’ansia accentuati ed energia mal canalizzata nonché fuori controllo, dalla quale può scaturire un’aggressività distruttiva. Quest’ultima si deduce in particolare dalla barra della t, lanciata e acuminata da un assottigliamento finale, come gesto liberatorio da un prolungato e intenso stato di tensione emotiva.

Nella tenuta del rigo si osservano delle cadute a fine di rigo chiamate “code di volpe” (vedi frecce blu), che stanno a significare scoraggiamento e demotivazione nei momenti di forte delusione.

Una personalità complessa, connotata da dinamiche profondamente disarmoniche, il cui obiettivo globale è quello di costruirsi uno spazio di vita con l’altro, inteso come oggetto da manipolare per la propria sopravvivenza che la conduce a costruirsi una vera e propria maschera espressiva, caratterizzata da apparente semplicità, ma anche contro l’altro, che percepisce ostile tanto da doverlo annientare e distruggere.
Lei, la Madre mossa dalla passione più pura e implacabile, lei che figlia non si è mai sentita perché rifiutata urlava “Non sono pazza. Sono solo una mamma che ha salvato i suoi figli”.
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
BARGIGLI BARBARA, Il crimine al femminile. Il caso di Leonarda Cianciulli, Arduino Sacco editore, 2011
CIANCIULLI LEONARDA, Memoriale, Vol. I, fascicolo XI
www.rivista.criminale.it
www.marilenacremaschini.it
www.puntografologia.it