Il Mobbing: uno sguardo clinico e giuridico

Il Mobbing: uno sguardo clinico e giuridico

di Gessica GRECCHI

Il mobbing è un’altra forma di violenza, è nell’ambito delle violenze del mondo del lavoro e si caratterizza come intento persecutorio. La parola mobbing deriva dal verbo assalire, molestare.

Il primo ad usare il termine in quest’accezione fu l’etologo Konrad Lorenz agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso per descrivere il comportamento di alcune specie animali quando circondano un proprio simile e lo assalgono rumorosamente in gruppo, al fine di allontanarlo dal branco.

In Italia si inizia a parlare di mobbing negli anni ’90 grazie allo psicologo del lavoro Herald Ege, che nel 1996 ha fondato a Bologna “Prima”, la prima associazione italiana contro il mobbing e stress lavoro occupazionale. La maggior parte delle volte la violenza nel mondo del lavoro inizia come una presa di posizione nel personale che poi si riversa nelle dinamiche lavorative. La persona inizialmente non si rende conto di quello che sta subendo, dà la colpa a sé stesso.

Il Mobbing è una situazione lavorativa di conflittualità sistematica, persistente ed in costante progresso in cui una o più persone vengono fatte oggetto di azioni ad alto contenuto persecutorio da parte di uno o più aggressori in posizione superiore, inferiore o di parità, con lo scopo di causare alla vittima danni di vario tipo e gravità. Il mobbizzato si trova nell’impossibilità di reagire adeguatamente a tali attacchi e a lungo andare accusa disturbi psicosomatici, relazionali e dell’umore che possono portare anche a invalidità psicofisica permanente. (H. Ege, La valutazione peritale del Danno da Mobbing, Giuffré Milano 2002)

Lo psicologo e il criminologo possono essere nominati come consulenti di parte dallo studio legale. Lo psicologo fa una valutazione del danno biologico di natura psichica, attraverso il DSM-V, mentre il criminologo da il proprio contributo per l’oggettivazione del contesto culturale, sociale, relazionale, che possono aver portato e indotto il mobber a mettere in atto delle azioni vessatorie e persecutorie. Lo psicologo somministra test psico-diagnostici, il criminologo invece stila un profilo del presunto mobber e della situazione in cui si è inserito questo tipo di comportamento vessatorio. In una valutazione del presunto mobber è importante trovare un nesso di causalità: tutto ciò che è avvenuto prima, durante e dopo. 

Prima sentenza Corte costituzionale nel 2003, perché così recente?

Sentenza della Corte costituzionale n.359 del 10.12.2003: «Una serie di atti o comportamenti
vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti
del gruppo di lavoro in cui è inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione e
di emarginazione, finalizzato all’obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo»

Nella situazione lavorativa antecedente, tutto era giustificato, non c’era una regolamentazione, vigeva la legge del più forte.

Nel nostro Codice civile sono presenti due norme fondamentali in grado di aiutare le vittime di comportamenti mobbizzanti a trovare tutela rispetto alle lesioni subite: 

• Art. 2043 c.c. che prevede l’obbligo di risarcimento in capo a chiunque cagioni ad altri un danno ingiusto con qualunque fatto doloso o colposo.
• La Suprema Corte ha affermato che “la condotta di mobbing suppone non tanto un singolo atto lesivo, ma una mirata reiterazione di una pluralità di atteggiamenti, anche se non singolarmente connotati da rilevanza penale, convergenti sia nell’esprimere l’ostilità del soggetto attivo verso la vittima sia nell’efficace capacità di mortificare ed isolare il dipendente nell’ambiente di lavoro” (Cass. Sez. I, n. 33624/2007).

Il mobbing, nel nostro ordinamento può assumere rilevanza anche da un punto di vista penale, sebbene non esista una specifica figura di reato. La condotta di mobbing integra il delitto di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p. Il mobbing è stato configurato come avente rapporti con il delitto di violenza privata (art 610 c.p.), consumata o tentata, nel caso dei datori di lavoro che “costringano o cerchino di costringere taluni lavoratori dipendenti ad accettare una novazione del rapporto di lavoro comportante un loro demansionamento” (Cass., Sez. VI, n. 31413/2006).

I comportamenti mobbizzanti, infatti, a determinate condizioni possono cagionare delle conseguenze riconducibili al reato di lesioni personali di cui all’articolo 590 del Codice penale.
Ogni singola condotta che possa essere posta come forma di vessazione deve essere valutata sulla base delle conseguenze psicofisiche e sul nesso di causalità.

Secondo la Suprema Corte (n. 685/2011), non è ancora possibile ricondurre il mobbing a sanzioni di tipo penale, nonostante ci siano alcuni comportamenti riconducibili a un trattamento vessatorio.
Il vuoto legislativo, infatti, fa sì che ad oggi si possa procedere più con procedimenti civili.