
Crime mapping
Considerazioni introduttive.
I problemi della devianza e della criminalità sono stati oggetto di studio, nel tempo, di diverse discipline scientifiche: le scienze sociali, forensi, giuridiche e infine quelle informatiche.
Di volta, in volta, seguendo il suo peculiare approccio formativo, il singolo studioso ha percorso una o l’altra di queste strade, in aderenza alle sollecitazioni che gli giungevano dal suo contesto professionale e sociale.
Negli ultimi tempi un indirizzo fortemente connesso alla policy ha sviluppato il tema della scienza della criminalità o “Crime Science” come ambito nel quale integrare, in modo sistematico, l’apporto di queste conoscenze, in un’ ottica multidisciplinare e attraverso un approccio di tipo comparativo.
La prospettiva era ed è quella di analizzare i contesti spaziotemporali nei quali si sviluppano, con maggiore incidenza e frequenza, comportamenti devianti che sovente sfociano nella perpetrazione dei reati, anche di forte allarme sociale, che turbano la collettività e impediscono un corretto e sereno vivere sociale.
Il ricorso a tale approccio multidisciplinare ha come suo preminente fine, e in ciò si connota il suo innovativo metodo di analisi, quello di ricercare ed indicare, proprio attraverso il dato statistico, il più corretto strumento o il miglior ambito di intervento sociale, politico, e giudiziario, utile, in via general – preventiva, a tentare di ridurre i comportamenti devianti che, in maniera maggiore, vengono riscontrati, di volta in volta, in determinati luoghi o contesti.
Più che sulla propensione a delinquere questo approccio si occupa di capire le opportunità che facilitano i comportamenti criminali per ricercare i rimedi adeguati a ridurne le conseguenze, o a prevenirne il sorgere ed il proliferare. Una approccio sistemico che si estende a tutti gli ambiti della criminalità, da quella individuale a quella organizzata a quella economica.
Si è innescato così un circolo virtuoso tra analisi, produzione di dati e indicazioni di policy e su questa piattaforma è cresciuta la legittimazione sociale dell’approccio scientifico ai problemi della criminalità.
L’Italia è rimasta a lungo esclusa da questa circolazione di idee. Una forte propensione a “delinquere” ha nei fatti trascurato come i comportamenti criminali siano anche il risultato di diverse opportunità.
Come queste si trovino nei luoghi, negli oggetti, nelle stesse leggi che regolano la società e la sua economia. Questa disattenzione ha prodotto per lungo tempo politiche “centralizzate”, indipendenti dalle diverse realtà sociali, ed apparati di dati incapaci di rappresentarle.
Che cos’è il Crime Mapping?
Tutto questo sta cambiando e il CRIME MAPPING vuole essere un veicolo per accellerare questo cambiamento.
Il crime mapping consiste nell’utilizzo di un coacervo di tecniche, conoscenze e strumentazioni che forniscono un’analisi staticogeografica dello studio dei reati commessi in un determinato ambito spaziale e temporale.
Tale approccio multi-disciplinare prevede, ovviamente l’utilizzo di software, quali, ad esempio, il “Geographic Information System”, che consente, attraverso una mappatura delle informazioni di vario genere che vengono inserite, l’elaborazione di una incidenza statistica dei reati commessi che vengono comparati al luogo, al tempo, alle condizioni sociali, alle tipologie abitative delle costruzioni, all’esistenza di servizi primari e secondari, nonché all’esistenza di opportunità lavorative e spazi di aggregazione sociale.
Attraverso questo sistema l’analisi che ne scaturisce all’elaborazione di un giudizio prognostico, reso ovviamente in termini probabilistici, circa l’elevata o meno possibilità di commissioni di reati (ad esempio, in peculiari quartieri urbani ad alto rischio).
Merita evidenziare la positiva pregressa esperienza nella concreta applicazione all’estero di tale strumento statistico che ha fornito utili indicazioni di intervento anche agli amministratori onde agire, migliorando le generali condizioni di vita in determinati quartieri, ottenendo una sensibile riduzione di tutti quei reati espressione, seppur in via indiretta, di un disagio sociale.
La spinta propulsiva, nell’ottica di una civile convivenza tra gli esseri umani, del cosidetto crime mapping, non esaurisce i suoi benefici effetti nell’ambito di una ricerca sociologica e criminologica, ma esplica la sua indubbia utilità anche in ausilio a sistemi squisitamente repressivi, quali l’attività di servizi di polizia e dell’attività giudiziaria tesi alla individuazione dei responsabili di un reato che ha commesso.
Le indicazioni che tale sistema elabora e mette a disposizione, non ha certo la pretesa di individuare soluzioni positive ma costituisce un punto di partenza da cui tutti i soggetti e le istituzioni coinvolte possano trarre utili informazioni che, nell’ottica di una sinergica collaborazione tra loro, consenta di individuare ed avviare le operazioni di risanamento urbanistica e sociale dei quartieri disagiati.
Questo sistema potrebbe essere visualizzato come la creazione di un sistema di rete, ovvero come un “tavolo sociale” con al centro un grande schermo con i suoi mouse o pulsanti con un’unica banca dati generale che a sua volta è suddivisa dalle diverse banche dati crime suddivise per città, settori (criminalità, ambiente, sicurezza urbana..) zone geografiche, banca dati accessibile ai cittadini agli enti locali a disposizione di tutti per una trasparente, reale collaborazione di tutti dal singolo cittadino, professionisti (criminologi, sociologi, psicologi, ingegneri, informatici), Servizi Sociali (educatori, assistenti sociali) agli Enti Locali e infine allo Stato attraverso le Forze dell’Ordine.
Le ricerche così effettuate con tale metodo, sono finalizzate al problem solving, alla analisi della criminalità sotto diversi profili, sempre in un ambito circoscritto e in linea alla normativa di tutela della privacy ad hoc per l’utilizzo limitato da parte di tutti, a seconda dell’ambito dello svolgimento delle proprie funzioni e della propria posizione sociale, ma con un obiettivo comune a tutti, inferendo una partecipazione attiva e collaborazione sociale tesa, giustappunto, ad analizzare, a contribuire e fornire informazioni e inserimento dati per prevenire, migliorare, la sicurezza urbana, ambiente, relazioni sociali, istituzioni, politiche sociali, o semplicemente per essere più preparati a contrastare i fenomeni di criminalità ed illegalità per un più sereno vivere sociale che sempre più deve prepararsi a contrastare i fenomeni di criminalità internazionale oltre che nazionale.
Concludendo, partendo dalla piccola realtà quotidiana, per esempio della nostra città di Lecce, la proposta di utilizzo del Crime mapping dove la sua base di lavoro è rappresentata da una banca dati relativa ad interventi svolti sul territorio in materia di illeciti di vario genere da parte di operatori e forze dell’ordine, dotata di metodi di informatizzazione e gestione dei dati, di una tecnica statistica utilizzata per l’analisi della distribuzione dei fenomeni e di criteri di classificazione delle fattispecie illegali e criminali guidate da riferimenti normativi e principi di tutela della privacy.
Crime mapping e applicazioni.
Il Crime mapping, ad esempio, può essere alimentato quotidianamente dal semplice colloquio criminologico presso i vari istituti penitenziari svolto dal magistrato, dall’avvocato, dallo psicologo, dal criminologo, nella inchiesta sociale svolta dagli assistenti sociali presso le Istituzioni del Ministero della Giustizia per l’analisi famigliare, relazionale e ambientale ed urbana.
Parimenti, lo stesso cittadino, con le sue denunce e segnalazioni, unitamente ai dati raccolti dagli organi di polizia, risultano utili nella elaborazione delle informazioni e la ricerca di soluzioni che siano in grado di intervenire positivamente sulla realtà sociale. Ciò consente anche all’amministratore di implementare iniziative concrete di intervento preventivo attraverso politiche sociali, strutturali e territoriali sulla disoccupazione, il livello di istruzione, il deterioramento urbano, il sovraffollamento provocato dal sempre più crescente fenomeno dell’immigrazione, le cattive condizioni di vita nelle città e nella nostra città di Lecce.
Un’ulteriore e significativa riflessione emergente dalla predetta ricerca sul Crime Mapping è data dalla possibilità della comparazione dei dati a disposizione (variazioni geografiche, densità…), dalla flessibilità e adeguamento dei tassi nel tempo e l’aggiornamento continuo dell’evoluzione del contesto, del luogo e degli effetti sulla vita nella città e nelle varie realtà.
Al fine di far meglio comprendere l’utilità di tale approccio ermeneutico allo studio della genesi dei comportamenti violenti, ma anche alla soluzione dei singoli casi, merita evidenziare come l’analisi dell’impatto delle cogenti variabili ambientali e sociali sul comportamento degli abitanti, costituisce una felice intuizione anche nella attività investigativa in senso stretto.
Il profilo geografico
Il Crime mapping, ad esempio, può essere alimentato quotidianamente dal semplice colloquio criminologico presso i vari istituti penitenziari svolto dal magistrato, dall’avvocato, dallo psicologo, dal criminologo, nella inchiesta sociale svolta dagli assistenti sociali presso le Istituzioni del Ministero della Giustizia per l’analisi famigliare, relazionale e ambientale ed urbana.
Parimenti, lo stesso cittadino, con le sue denunce e segnalazioni, unitamente ai dati raccolti dagli organi di polizia, risultano utili nella elaborazione delle informazioni e la ricerca di soluzioni che siano in grado di intervenire positivamente sulla realtà sociale. Ciò consente anche all’amministratore di implementare iniziative concrete di intervento preventivo attraverso politiche sociali, strutturali e territoriali sulla disoccupazione, il livello di istruzione, il deterioramento urbano, il sovraffollamento provocato dal sempre più crescente fenomeno dell’immigrazione, le cattive condizioni di vita nelle città e nella nostra città di Lecce.
Un’ulteriore e significativa riflessione emergente dalla predetta ricerca sul Crime Mapping è data dalla possibilità della comparazione dei dati a disposizione (variazioni geografiche, densità…), dalla flessibilità e adeguamento dei tassi nel tempo e l’aggiornamento continuo dell’evoluzione del contesto, del luogo e degli effetti sulla vita nella città e nelle varie realtà.
Al fine di far meglio comprendere l’utilità di tale approccio ermeneutico allo studio della genesi dei comportamenti violenti, ma anche alla soluzione dei singoli casi, merita evidenziare come l’analisi dell’impatto delle cogenti variabili ambientali e sociali sul comportamento degli abitanti, costituisce una felice intuizione anche nella attività investigativa in senso stretto.
La cartografia sociale.

Potrà apparire incredibile, eppure il crime mapping ha origini vetuste, addirittura in un epoca in cui ancora non esistevano le sofisticate tecnologie e i software oggi a disposizione degli operatori.
Esso, infatti, si sviluppa nello stesso periodo in cui nascono le scienze sociali, ovvero nel XIX secolo.
Lo storico Guerry, nel 1829, pubblicò delle mappe che indicavano una sorta di distribuzione geografica ove avvenivano i crimini violenti o i furti nelle abitazioni nei vari quartieri della Francia.
André Michel Guerry, nella sua opera dal titolo «Statistica morale» pubblicata proprio in quell’anno, produsse una “cartografia sociale” della criminalità.
I dati socio-strutturali, cioè relativi allo sviluppo e alla ricchezza, propri dei vari dipartimenti francesi, vennero incrociati con una serie di statistiche relative alla criminalità, come per esempio il tipo di delitti più comuni nei vari dipartimenti. Si rilevò così che non sussisteva tanto un rapporto tra criminalità e povertà, quanto tra criminalità e disuguaglianza di sviluppo; era inoltre riscontrabile una tendenza alla criminalità contro la persona nel Sud della Francia e contro la proprietà nel Nord-est.
Infine, anche il luogo comune dell’associazione tra ignoranza e criminalità veniva abbandonato.

Del pari, un sicuro contributo deve essere riconosciuto anche al belga Lambert Jacques Adolphe Quetelet.
I due studiosi, infatti, furono tra i primi ad applicare la scienza statistica a fenomeni di “patologia sociale”.
Non va dimenticato che proprio l’istituzione in Francia e in Belgio, al principio dell’Ottocento, di una sistematica statistica criminale è stata storicamente la condizione preliminare della scienza indirizzata allo studio del delitto.
Quetelet era matematico e astronomo: nel suo trattato di “fisica sociale” (1835) applicò ciò che aveva appreso nell’istruirsi in queste professioni alla questione sociale e poi in particolare alla criminologia.
Quetelet fu il primo a identificare la categoria dell’uomo medio, cioè la possibilità di rappresentare una popolazione attraverso le sue caratteristiche medie.
Quetelet, come anche Guerry, lavorò su una scienza che chiamò statistica morale e che in un certo senso è antenata della sociologia.
L’importanza dell’apporto di Quetelet e Guerry è tale da aver fatto considerare l’opera di tali autori come decisiva per la nascita della criminologia su base sociologica.
Con riferimento specifico al crime mapping, oltre all’introduzione innovativa della «cartografia sociale», ha un enorme rilievo anche l’applicazione alle scienze sociali della legge di possibilità e della teoria della probabilità.
Il crime mapping, infatti, sviluppa un’analisi che, sulla base dei pattern ciclicamente ricorrenti, è in grado di svilupparsi in senso, per così dire, statisticamente predittivo: consente, infatti, di conoscere in anticipo, a livello probabilistico, l’andamento di determinati reati, afferenti alla criminalità urbana, secondo parametri spazio – temporali. Proprio quì si vede il debito che il crime mapping ha verso Guerry e Quetelet.

Con particolare riguardo a quest’ultimo è stato rimarcato, in letteratura, che, in sostanza, partendo dall’idea che la “teoria della probabilità” possa e debba applicarsi anche alle scienze sociali, Quetelet rispose affermativamente alla domanda se le azioni dell’uomo morali e intellettuali siano sottoposte a leggi”. Lo studioso francese, infatti, nel suo fondamentale trattato di Fisica Sociale, affrontò decisamente lo studio dei fenomeni individuali e sociali, da considerare collettivamente, con metodo quantitativo, segnando quel passaggio dalla qualità alla quantità, pondere et mensura, che già Galileo aveva posto a base dei reali progressi delle scienze fisiche naturali.
Più in particolare, per ciò che concerne il delitto egli formulò addirittura una “legge di possibilità”, vale a dire la fattibilità di una previsione nel campo di quei particolari fatti sociali costituiti da eventi delittuosi.
Con il termine penchant au crime, cioè la tendenza a commettere delitti, indica in effetti la probabilità statistica che, in un dato luogo e in un determinato periodo di tempo, un certo numero di soggetti appartenenti a un dato gruppo sociale avrebbe commesso un reato di una data specie.
All’analisi predittiva, tuttavia, viene associata anche un’ulteriore felice intuizione, anch’essa centrale per lo studio del crime mapping: la pretesa di intervenire sulla realtà sociale al fine di ottenere una riduzione dei risultati negativi emergenti dall’analisi è quantitativa.
Così, come rimarca Quetelet, sarebbe sufficiente senza dubbio modificare le cause che reggono il nostro sistema sociale, per modificare altresì i deplorevoli risultati, che troviamo ogni anno negli annali dei delitti e dei suicidi.
Quetelet afferma che i fatti morali differiscono essenzialmente dai fisici per l’intervento di una causa speciale che a primo aspetto pare debba sviare tutte le nostre previsioni, cioè il libero arbitrio dell’uomo. Ma l’esperienza ci insegna che questo libero arbitrio non esercita la propria azione che in ristrettissima sfera e che, sensibilissimo degli individui, non ha nessuna azione apprezzabile nel campo sociale, nel quale tutte le particolarità individuali si neutralizzano o si annullano.
Il cammino per l’affermazione del crime mapping subisce ulteriori decisivi passi avanti con la Scuola di Chicago. Guerry, infatti, avendo analizzato l’andamento della criminalità nelle aree geografiche della Francia e dell’Inghilterra attraverso l’uso della tecnica cartografica (…) si può considerare, a ben ragione, il precursore della scuola ecologica di Chicago.
L’uso della cartografia in ambito criminologico venne adottata in maniera sistematica da un gruppo di studiosi afferenti all’Università di Chicago, comunemente denominato «Scuola di Chicago», il cui caposcuola può essere considerato Robert Park. Agli allievi di quest’ultimo, Henry McKay e Clifford Shaw, viene attribuito il merito di aver sviluppato un monumentale lavoro che è il punto di partenza delle moderne ricerche in tema di criminalità in ambiente urbano.
Mappare il crimine?

Ben note sono le teorie di Burgess sull’espansione concentrica della città, riprese poi anche da Shaw e McKay, secondo cui la città tende a svilupparsi in cinque zone concentriche.
In quella più interna v’è il quartiere centrale ove è ubicata la city, con le attività commerciali e i centri dirigenziali; nella seconda zona concentrica, attigua a quella centrale, viene a trovarsi una zona di transizione o area degli slums, in via di mutamento da un’utilizzazione a scopo principalmente residenziale ad un impiego a scopo commerciale e industriale; nella terza zona, adiacente alla seconda ed alla quarta, si trova l’area urbana concentrica in cui risiede e vive la classe operaia; nella successiva quarta zona si hanno i quartieri residenziali, mentre nell’ultima zona, la quinta, si registra l’area geografica esterna, ove vi sono i pendolari, che trovano
ubicazione oltre i confini cittadini. Shaw e McKey non si fermarono però a tale rappresentazione.
Utilizzarono infatti anche ripartizioni geografiche diverse, al fine di ottenere basi territoriali tra loro comparabili.
In particolare, sono state prese in esame soprattutto le «basi territoriali» costituite dalle c.d. «zone di censimento» (census tracts), combinate tra loro per formare aree di un miglio quadrato (square mile area).
Utilizzando dieci serie di dati, per lo più concernenti la criminalità giovanile, Shaw e McKay lavorarono sui «tassi di delinquenza» (delinquency rate), ottenuti «calcolando il rapporto fra il numero di delinquenti residenti nell’area e l’insieme della popolazione del medesimo sesso all’interno della corrispondente fascia di età.
I tassi di delinquenza vennero quindi calcolati, sia con riferimento alle square mile area, formate dall’aggregazione del census tracts, sia con riferimento alle cinque concentriche di Burgess (c.d. tassi su base zonale). Vennero poi calcolati anche tassi intermedi fra quelli di square mile area e questi ultimi, per sezioni differenti delle zone concentriche.
Tenendo presente tale articolata costruzione, le ricerche sulla distribuzione geografica della criminalità condotte da Shaw e McKey sono state sviluppate ricorrendo a quattro distinti tipi di mappe: le mappe dei casi, nelle quali ogni «punto» rappresenta nello spazio la residenza di un singolo autore di reato; le mappe dei tassi di delinquenza ottenuti nelle singole square mile areas; le mappe radiali, su cui sono stati rappresentati i tassi di delinquenza calcolati per ciascuna delle cinque zone concentriche elaborate da Burgess; le mappe zonali, nelle quali sono state prese in considerazione sezioni più ampie all’interno della divisione concentrica stessa.
Le analisi che sono emerse dalla lettura della mappa hanno potuto mettere in evidenza diversi aspetti, tra cui la «teoria del gradiente» (secondo cui i tassi di criminalità diminuiscono quando si passa dalla zona centrale della città ad altra zona concentrica successiva e ciò per tutte e dieci le serie di dati prese in considerazione nella ricerca e la presenza di deterioramento urbano nelle aree connotate dai più alti tassi di delinquenza giovanile e di criminalità adulta.
Ulteriore significativa riflessione emergente dalla predetta ricerca s’è ottenuta comparando «i dati delle serie dell’inizio del secondo con quelle del primo dopoguerra». Da tale comparazione, infatti, «Shaw rilevò (…) che le variazioni nei tassi non dipendevano dalle caratteristiche della popolazione (variazioni demografiche, densità), che spesso, particolarmente nelle aree con i tassi più alti, era mutata più volte, accogliendo ondate migratorie provenienti da differenti paesi e culture. La sostanza dei tassi nel tempo poteva essere così collegata ai peculiari effetti della vita in città: di qui si sviluppò la celebre ipotesi della “disorganizzazione sociale”».
Shaw e McKay approfondirono la definizione di questa ipotesi: la maggiore incidenza della delinquenza nelle aree deteriorate dal punto di vista ambientale e con popolazione in calo venne fatta dipendere dai “fattori naturali” che erano responsabili della crescita strutturalmente e funzionalmente connessa alla devianza.
Gli studi condotti dalla Scuola ecologica di Chicago sono stati poi approfonditi da Shaw e McKey, fino ad essere estesi a venti città compresa Chicago, con costante conferma delle ipotesi formulate.
Vennero, quindi, individuati i fattori ambientali, esterni all’individuo, che inducono i singoli a commettere atti delinquenziali o criminali. L’attenzione venne posta, inter alia, agli scarsi livelli di istruzione, ed espansione della città. In situazioni di deterioramento delle aree (sovraffollamento, cattive condizioni di vita, povertà, degrado ambientale), la comunità locale non riesce più a funzionare come agenzia di controllo sociale; i genitori non riescono a controllare efficacemente i bambini ed il gruppo dei pari acquista
sempre maggiore importanza: nell’anno 1928, l’81,8% dei minori comparsi di fronte alla Juvenile Court avevano commesso il reato di cui erano accusati insieme con altri ragazzi.
Per comprendere meglio la relazione tra devianza e disorganizzazione sociale, si deve far riferimento al significato di organizzazione sociale utilizzato dalla criminologia. Essa consiste, in linea di massima, nelle norme e aspettative sociali che guidano il comportamento. Dato che in ogni società le persone dipendono reciprocamente per la loro sopravvivenza e per il raggiungimento degli scopi, costituiscono un’organizzazione per regolare la loro condotta e quella degli altri e usare le risorse per soddisfare i loro bisogni. La organizzazione, in pratica, nasce dalla ragione e dall’idea dell’ordine finalizzato, risponde alle richieste della convivenza ed esprime la durata della stessa della società. Le reciproche aspettative hanno origine dall’interdipendenza: ognuno sa ciò che può aspettarsi da se stesso e dagli altri e ciò che gli altri si aspettano da lui. In tal modo si formano le tradizioni culturali, le usanze e il complesso sistema di norme che regolano azioni e attività.

Nel contesto sociale le leggi, che rappresentano regole culturali codificate, definiscono quali comportamenti siano desiderabili e quali no.
Secondo la teoria della disorganizzazione sociale, gli attori normalmente interiorizzano le regole e le aspettative del contesto di riferimento, il che facilita lo sviluppo equilibrato della società.
Il problema sorge quanto, con i mutamenti sociali, molte norme non sono più in grado di svolgere la loro funzione, quando i cittadini continuano a seguire le linee guida tradizionali, inappropriate per le nuove condizioni, o quando viene meno la coesione di gruppo.
La Scuola di Chicago non si limitò però all’analisi della criminalità urbana e all’individuazione dei fattori ambientali che generano alti tassi delinquenziali, ma indirizzò i propri sforzi anche verso la ricerca di soluzioni in grado di intervenire positivamente sulla realtà sociale, mediante programmi di intervento preventivo, noti sotto la denominazione di Chicago Area Program o Chicago Area Project.
Storicamente dunque, nell’esperienza scientifica più significativa di analisi della criminalità condotta attraverso tecniche cartografiche, l’attività di analisi è sempre stata accompagnata ad interventi mirati sul territorio. Si noti che, in tal caso, non si è optato per misure di tipo situazionali, ma su politiche sociali strutturali.
Progetti e ricerca in materia di crime mapping.
Anche nel crime mapping odierno, basato su tecniche cartografiche digitali, base di dati computerizzate e interfacce in grado di elaborare i dati georefenziati e di associarli ad altre informazioni, la rappresentazione spaziotemporale degli illeciti viene indirizzata al fine di trovare strategie, politiche e attività in grado di superare l’inefficacia dei modelli di comportamento istituzionalizzati.
Il Chicago Area Project viene definito come un colossale intervento di prevenzione della delinquenza, autogestito all’interno delle aree a rischio da parte degli stessi abitanti, mediante tutta una serie di iniziative da essi liberamente scelte. Lo scopo era quello di diminuire la disorganizzazione sociale e di aumentare lo spirito di coesione comunitaria.
Le scelte vengono, tuttavia, effettuate sulla base di diversi paradigmi e teorie di riferimento, grazie anche allo sviluppo della criminologia ambientale moderna.
Va però registrato un elemento di profonda diversità tra l’impostazione chicagoana e quella del crime mapping moderno ed è dato dalla scelta in ordine alla collocazione dei reati sulla mappa e alle modalità di costruzione dei tassi di criminalità.
Analogo studio e mappatura venne realizzata da Mayhew nel 1862 a Londra.
Il Mayhew realizzò una vera e propria mappatura di quei quartieri che furono definiti “i quartieri dei ladri”.
La scientificità e capillarità dello studio effettuato dal Mayhew contribuì, in maniera efficace, alla riorganizzazione della polizia locale londinese che tuttora utilizza tale studio.
Gli esempi accennati costituiscono i prototipi meglio riusciti di quella metodologia multidisciplinare che poi divenne il crime mapping. Ovviamente, l’evolversi della tecnica e la nascita dei computer e di sofisticati software sono stati e sono tuttora elementi fondamentali e largamente utilizzati nella elaborazione della mappatura.
Uno dei principali strumenti informatici che hanno reso agevole il complicato lavoro di analisi geografica dei reati e che oggi costituiscono il punto di forza del crime mapping, sono tutti quegli strumenti informatici che, come già sopra evidenziato, sono individuati sotto l’acronimo GIS, ovvero, Geographic Information System.
Sotto tale acronimo vengono racchiusi tutta una serie di strumenti informatici, quali monitor, calcolatori, software e dati cartografici che, implementati tra gli loro, ottimizzano la gestione e l’analisi di quelli che vengono definiti gli attributi spaziali.
Con tale terminologia si è inteso definire tutti quegli attributi associati ad un elemento che ne definiscono la posizione spaziale secondo uno specifico sistema di riferimento.
È opportuno evidenziare come tale metodologia di classificazione, attraverso una analisi geografica dei comportamenti illeciti, viene sovente coordinata dallo studio comparato dei modelli psicologicocriminali. Attraverso tale analisi comparativa tra dati spaziali e geografici oggetti e dati di natura squisitamente soggettiva dei soggetti umani e delle loro interazioni sociali, risulta molto utile e di grande ausilio nello studio dei cosiddetti delinquenti seriali.
In tal modo, le applicazioni GIS vengono usate anche nell’ambito del criminal profiling, correlando l’analisi della particolare densità di un determinato comportamento illecito in una determinata zona geografica (i cosiddeti hot spots), nella previsione del probabile luogo di reiterazione di un fatto criminoso di natura seriale.
L’introduzione delle tecniche GIS nelle operazioni di mappatura ha avuto l’evidente vantaggio costituito dalla possibilità di analizzare, attraverso i calcolatori elettronici, un’enorme mole di dati immessi in tempi estremamente ridotti, ottimizzando in tal guisa l’elaborazione dei dati ottenuti e quindi il loro concreto utilizzo.
Al fine di meglio comprendere i processi di analisi statistica che vengono elaborati con la tecnica del crime mapping e con l’utilizzo del software GIS, è opportuno brevemente analizzare quali procedure specifiche vengono adottate per giungere al risultato finale.
Preliminarmente occorre chiarire che l’elaborazione dei dati relativi a fattispecie illecite avviene attraverso l’uso di un algoritmo statisticogeografico al quale viene associata una valutazione di natura criminologica. La cosiddetta procedura di crime analysis, utilizzata dal software GIS, si compone di una serie di passaggi la cui cronologica esperienza può essere così schematizzata:
a) raccolta dati;
b) Geocodifica/Georeferenziazione;
c) rappresentazione di base;
d) analisi spaziale;
e) commenti/di mappe a tema.
Uno dei passaggi caratterizzanti le tecniche GIS usate nel crime mapping è la georeferenziazione con la quale, ad ogni record di una determinata base di dati, vengono associate nelle coordinate spaziali secondo un sistema convenzionale di coordinate geografiche.
Nel concreto, l’operatore che utilizza tali strumenti procede in via preliminare alla costituzione di un data base ove vengono registrati tutti i reati e le denunce raccolte dagli organi di polizia in un determinato comune o città. Si procede poi all’estrazione, di esempi dei dati relativi ad un determinato reato (ad esempio i furti) commessi in un determinato anno nella città di riferimento.
I dati che ne scaturiscono vengono di poi geocodificati agganciando lo specifico indirizzo del locus commissi delicti alla relativa coordinata geografica già presente nel data base.
E’ attraverso tale procedura operativa che vengono individuati gli hot spots.
L’individuazione degli hot spots testè descritta con specifico riferimento ad un comportamento illecito, quali il furto nel caso di specie, e associato alla individuazione di quelle porzioni di territorio urbano caratterizzate da una maggiore densità del fenomeno illecito, costituisce un notevole aiuto pratico anche in ausilio degli organi di polizia.
E infatti l’individuazione, ad esempio di luoghi, strade quartieri connotati statisticamente da un elevata incidenza dell’evento furto, può essere utilizzata dagli organi di polizia nell’apprestare particolari specifici controllo o quesiti nelle aree a rischio.
In definitiva, le applicazioni delle tecniche di crime mapping unitamente all’utilizzo dei software GIS possano contribuire alla gestione della sicurezza urbana supportando, attraverso l’analisi geografica, la pianificazione degli interventi da effettuare a livello urbanistico al fine di arginare, prevenire ma anche reprimere i fenomeni di devianza e a risolvere o migliorare le situazioni e i contesti di degrado in cui generalmente si verificano i fenomeno devianti.
La multipla utilizzabilità dei dati statistici elaborati dal crime mapping, proprio per la sua dimostrata capacità di indicare soluzioni che abbiano un’attitudine ad incidere, sia in via preventiva, sia in via repressiva, meriterebbe una attenzione maggiore da parte della pubblica amministrazione, soprattutto a livello locale, ove le prefetture e gli organi di polizia possano, con maggiore efficacia e celerità fornire immediate risposte, predisponendo mirati interventi protesi alla sacrosanta richiesta di sicurezza che l’opinione pubblica invoca ad alta voce nei confronti di un apparato sociale che spesso si è dimostrato incapace di fornire una efficace tutela ai propri cittadini dai soprusi e dalle violenze che proliferano in maniera incontrollata, determinando sentimenti di inquietudine di paura, di odio razziale e sociale e di generare diffidenza verso il prossimo.
Applicazioni odierne e Sicurezza Urbana.
Qualcosa si muove. Segnali positivi si registrano, almeno in via di aspirazioni, anche nella nostra Regione Puglia.
Proprio negli ultimi tempi, la classe politica locale appare sensibile all’introduzione di tali strumenti di statistica.
Il sindaco di Bari, infatti, ha chiesto al Ministero dell’Interno di avere accesso ai dati delle forze dell’ordine, per poterli organizzare e realizzare una mappa del crimine.
La esperienza positiva dell’utilizzo di tali tecniche nei paesi stranieri e, principalmente, in quelli anglosassoni, costituisce un bagaglio culturale cui attingere evitando, tuttavia, un uso e una pubblicazione delle informazioni ricavate, mediante un accesso indiscriminato e incontrollato, che potrebbe risultare foriero di speculazioni e alterazioni dell’economia locale, come ad esempio il rischio di un deprezzamento sensibile del valore degli immobili esistenti nei quartieri a più alto rischio di reati.
Grazie anche al lavoro di alcune Università, specialmente in Inghilterra, alcuni di questi modelli sono via via diventati noti, altri meno, tanto che alcuni di questi possono essere benissimo rintracciati anche sul web.
− Prevenzione del crimine attraverso la progettazione ambientale (CPTED);
− Crime opportunity Profiling of streets (COPS);
− Visual Inspection/Stickers to Safety;
− Police Label Secured Housing;
− Criminological Regional Analysis (CRA);
− Integrated Audits (per la prevenzione del crimine e della sicurezza del traffico);
− Kids & Space (coinvolgimento dei giovani per aumentare il grado di sicurezza e possesso del proprio quartiere/territorio).
Diversi e altri modelli hanno aiutato le municipalità a prevenire il degrado, minimizzare atti di inciviltà e violenza, supportare nel migliore dei modi la progettazione urbanistica.
Anche, quindi, in un’ottica di tipo preventivo, il crime mapping può fungere da ausilio alle scienze sociali al fine di individuare i programmi di prevenzione sociale che cercano di intervenire sulle problematiche afferenti le interazioni tra il singolo e la collettività. In tale ambito, la prevenzione sociale interviene in quei contesti sociali particolarmente disagiati ed in cui più elevato si prevede il rischio, in via probabilistica, dell’insorgere di fenomeni devianti.
Gli interventi preventivi così determinati devono avere tre obiettivi:
1) mirare a prevenire le forme di criminalità;
2) tendere a trasformare l’ambiente in cui potrebbe realizzarsi il delitto;
3) cercare di ridurre la possibilità del compimento dei reati.

Parafrasando Bauman: “E’ nei luoghi pubblici che la vita urbana e tutto ciò che la distingue dalle altre forme dell’umana convivenza, raggiunge la sua più compiuta espressione, con le sue gioie e pene, speranze e presentimenti”.
Non vi è dubbio che sui temi della sicurezza e della sua percezione in ambito urbano ci sia stata una generale sottovalutazione, nella prassi della cultura urbanistica italiana, che ha portato (a differenza di altri paesi europei) di fatto, a non occuparsene, anzi a scansarne i temi ed i problemi di per sé, come se fosse responsabilità e competenza solo delle forze di polizia e dei vigili urbani e non invece di quelli che tra i primi avrebbero dovuto coglierne i sintomi e le evidenze, ovvero urbanisti e pianificatori.
Di converso, all’estero, l’Urbanistica si è avvicinata a concetti e strumenti di analisi, prevenzione e controllo del degrado e della criminalità urbana, attraverso vere e proprie pratiche e modelli culturali di progettazione che affiancano e integrano la prassi urbanistica ed edilizia.
Oggi e ancor più nell’immediato futuro, sarà più che mai necessario intervenire concretamente sulla qualità della vita urbana da ottenersi con pochi, qualificati, urgenti e mirati interventi a livello di quartiere, evitando che il tema della sicurezza urbana ricada solo sulle spalle degli organi di polizia.
Una più oculata gestione delle risorse economiche e un maggiore utilizzo delle tecniche di analisi e utilizzate nel crime mapping, potrebbe fungere da volano per realizzare la stura del precipitato ontologico e giuridico su cui si fonda il concetto di Stato, secondo la migliore accezione di Hegeliana memoria: l’eticità dello Stato intesa come Istituzione, la cui esistenza e necessarietà non eludibile, assume significato e legittimazione nella misura in cui tende alla realizzazione concreta del fine in cui si sostanzia il contratto sociale tra gli esseri umani, ovvero il bene universale verso cui deve tendere l’azione dei singoli individui e appartenenti ad una comunità sociale.

In altre parole e volendo citare il faticoso lavoro speculativo di Don Italo Mancini, uno tra i più grandi pensatori contemporanei, occorre valorizzare il carattere di politicità del sapere, l’essere per la vita e la prassi dell’uomo, un sapere che è sempre stato per troppo tempo soggiogato dalla terribile equazione di liberazione e lotta,
resistenza e resa, in presenza di quella che viene definita “impotenza collettiva d’amore”, con l’immanente esigenza di fare seriamente i conti con le diverse culture e i grandi movimenti di pensiero che contengono elementi di verità e che sono il prodotto di istanze e aspirazioni individuali e collettive. Così da attuare un criterio di attenzione e di ascolto verso tutte le espressioni della vita, della cultura, le antiche, le moderne e contemporanee, le odierne, tutte intrise del monito di Ernst Bloch, secondo cui al pensiero non si può dare nulla ad intendere.